Intervista a Shakira Casin
Abbiamo chiesto all’artista e fotografa Shakira Casin, una delle partecipanti ai laboratori di fotografia e diritti umani, cosa può fare secondo lei la fotografia per i diritti di tutti.
Ciao Shakira, cosa ti porti via da questo workshop di migrazione e fotografia?
Mi è piaciuto parlare di diritti umani con persone tanto diverse tra loro, soprattutto in questa situazione attuale legata al Covid che spesso ci impedisce una comunicazione più profonda. Per me è stata una ventata di aria fresca.
C’è un aspetto che ti ha particolarmente colpito?
Durante il workshop abbiamo ascoltato la testimonianza di una giovane donna che, con un grande atto di coraggio, ci ha raccontato cosa significa crescere sotto un regime dittatoriale e dover scappare dalla propria casa. Attraverso la mia fotografia ho voluto rappresentare la negazione all’immaginazione: la dittatura si impone con violenza al diritto all’immaginazione, toglie la possibilità di immaginare un mondo diverso, un mondo migliore e dunque di agire per questo.
Secondo te perchè è importante il diritto all’immaginazione?
All’interno di una dittatura non c’è libertà di immaginazione: se ti limitano la conoscenza e la creatività non hai la possibilità di immaginare che possa esistere qualcosa di diverso. Finché non si prende consapevolezza, non si potrà mai agire. E molte persone che lo comprendono, che immaginano una realtà migliore, vengono fermati, reclusi o addirittura uccisi dai regimi.
Come scrive la teorica della fotografia Ariella Azoulay nel suo libro “Civil Imagination: Ontologia politica della fotografia”, la cittadinanza attiva è un atto immaginifico. Ad un certo punto nella storia dell’uomo qualcuno si è immaginato come cittadino del mondo, ha immaginato una nuova idea di democrazia e a poco a poco è diventata realtà. Se non possiamo immaginare il cambiamento, non lo possiamo realizzare.
Perché per te è così prezioso questo diritto?
I primi tre anni della mia vita li ho trascorsi in Costa Rica, la mia lingua madre è lo spagnolo. Quando i miei nonni di Bolzano venivano a trovami io non riuscivo a comunicare con loro perché non conoscevo ancora la lingua italiana. Mia nonna mi racconta però che avevo così tanta voglia di comunicare con loro che trovavo delle idee fantasiose per riuscire a spiegarmi. Forse è per questo che dentro di me è così radicata l’idea che immaginare e comunicare siano dei diritti fondamentali che abbiamo fin dalla nascita. Tutti abbiamo il diritto di comunicare.
Articolo 19
Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.
Secondo te cosa può fare la fotografia per promuovere questo cambiamento?
Credo profondamente che la fotografia sia un grande mezzo di comunicazione. Per me la fotografia è un mezzo di socialità che ci permettere di affrontare tematiche importanti, proprio come abbiamo fatto con questo workshop. La fotografia può dare dei grandi pugni in pancia. Ha una grande capacità empatica, ti fa mettere nei panni degli altri.
A me piace l’idea che come fotografa, non solo guardo e documento una situazione come un’osservatrice esterna, ma mi faccio coinvolgere e agisco nella situazione e nelle dinamiche che fotografo. Non mi piace pormi come qualcosa di esterno rispetto a ciò che sto fotografando. Non sono distaccata, ma sono coinvolta.
In questo modo il pugno in pancia arriva innanzitutto a me che fotografo. E se una mia foto porta ad agire solo me, va bene anche così. Ben venga se riesce a smuovere anche altre persone, ma intanto smuove me.